" Abstract Resonances | 7 " _ 2022

" Decorative Transcendence /3 " _ 2022

"White and Teal" _ 2023

RISONANZE ASTRATTE
Ai limiti del visibile.

Se la pittura è il luogo eminente nel quale gli esseri umani fanno questione del loro rapporto con il visibile in quanto tale, i dipinti astratti della serie Abstract Resonances di Margherita Pasqual sembrano porre idealmente la seguente domanda: che cosa “vediamo” davvero, nel “reale”, quando potenziamo infinitamente le nostre facoltà visive? Quale immagine del reale ci è restituita attraverso quell’atto di indagine, se la verità del visibile è soltanto una sommatoria di segni su una grana indefinibile che emergono da un fondo indistinto? La curiosità di vedere cose mai viste e di scoprire la struttura profonda della materia, la speranza di poter vedere addirittura la “verità” della materia viene assieme con la consapevolezza che oltre a questo da vedere non c’è più nulla, "anzi con il timore di scoprire che alla fine della materia in realtà non ci sia nulla. Oppure tutto."

E’ fuorviante pensare che tutta l’impresa pittorica e i suoi paradossi nel destino dell’immagine si inscriva in questa pura ricerca di referenza assoluta: il valore espressivo del tratto, la calligrafia soggettiva dell’artista, il desiderio di rappresentare l’impossibile, non possono essere ricondotti a una mera esigenza rappresentativa di tipo corrispondentista. Qualcosa, nell’atto pittorico, sopravanza la mera esattezza della rappresentazione, senza per questo eluderla.

Tutto il cerchio del fenomeno diventa, nella ricerca artistica di Margherita Pasqual, l’oggetto di una meditazione metafisica sul visibile: la pittura è infatti il luogo dove si custodisce il mistero della fenomenicità dell’ente e del rapporto tra visibile e invisibile. Le sue opere funzionano come dei dispositivi che attivano la riflessione sul funzionamento dello sguardo e sui modi in cui l’essere si dà nel dominio del “visibile”. Chi nota, nelle sue opere, una netta separazione tra le opere “figurative” e le opere “astratte”, rischia di non cogliere il senso stesso dell’operazione di ricerca dell’artista.

Va inoltre indagata la complessa dialettica tra visibile e invisibile che è in opera in quelle immagini. Lungi dal compiacersi di un’astratta mistica dell’invisibile, l’artista porta a termine un’operazione artistica di carattere quasi filosofico.

Ciò che vediamo sulla tela è, letteralmente, qualcosa d’invisibile. In nessun modo il nostro quotidiano commercio visuale con il mondo incontra la grana microscopica della materia: essa cade di fatto nel dominio dell’invisibile. L’operazione pittorica implica dunque il riportare l’invisibile al visibile, inscrivendo una dimensione non percepibile del fenomeno sulla superficie visibile dell’immagine.

A uno sguardo superficiale, questa tensione tra astrattismo e realismo, tra soggettività e oggettività, tra dimensione espressiva dell’arte e aderenza scientifica al reale, tra invisibile e visibile, in opera nelle immagini di Margherita Pasqual, sembra avere la consistenza di una contraddizione insanabile. Vi sono molti modi di pensare la natura di questa tensione e le strategie per risolverla. Si ha l’impressione però che l’arte di Pasqual non esiga, in senso stretto, la risoluzione della tensione, ma ci inviti ad abitarla consapevolmente.

La ricerca artistica di Margherita Pasqual suggerisce che la conoscenza del reale non può prescindere da un ripensato rapporto tra “realismo” e “idealismo”, tra “scienza” e “arte”, tra “oggettivo” e “soggettivo”, tra “visibile” e “invisibile”.

È per questo utile riflettere su queste righe di Merleau-Ponty, che sembrano andare proprio nella direzione tratteggiata:

La filosofia è la fede percettiva che si interroga su se stessa. Possiamo dire che, come ogni fede, essa è fede perché è possibilità di dubbio, e anche quell’infaticabile percorso delle cose che è la nostra vita è un’interrogazione continua. Non è solamente la filosofia, ma anzitutto lo sguardo a interrogare le cose. Noi abbiamo non già una coscienza costituente delle cose, come crede l’idealismo, o una preordinazione delle cose alla coscienza, come crede il realismo (in ciò che qui ci interessa essi sono indiscernibili, in quanto affermano entrambi l’adequazione della cose e dello spirito), – ma, con il nostro corpo, con i nostri sensi, il nostro sguardo, il nostro potere di comprendere la parola e di parlare, abbiamo dei misuranti per l’Essere, delle dimensioni in cui possiamo riportarlo: non un rapporto di adequazione o di immanenza. (Merleau-Ponty 2009, p. 123).





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